Cassano saluta don Callisto: “qui da voi mi sento a casa”
Di grande valore spirituale e umano è il vicario della parrocchia Santa Maria Assunta, Don Callisto il quale, il prossimo 30 settembre lascerà la comunità di Cassano e la casa parrocchiale, per tornare nel suo Paese d’origine, il Togo dove continuerà il suo cammino nella fede ed al servizio dei più bisognosi.
In procinto della conclusione dell’opera di fede, studio e formazione in Italia, abbiamo intervisto il sacerdote, originario della Repubblica togolese, che ringraziamo per la sua gentile disponibilità.
Padre Callisto, si racconti. Come ha avuto origine la sua vocazione?
Innanzitutto voglio ringraziare la redazione de La Voce del Paese per questa intervista che raggiunge il mio cuore. Mi chiamo Don Ogbone Ayéna Calliste e sono nato in Togo il 14 ottobre 1971; sono stato ordinato prete il 29 settembre del 2012 a seguito di un lungo percorso; appartengo alla diocesi di Atakpame.
Ho ricevuto una vocazione, non tardiva, e sono entrato in seminario dopo la scuola elementare, dopo aver conseguito il certificato CPD. E’ stato proprio in quel periodo, quando facevo il chirichetto, che ho avuto la vocazione: servivo messa ed accompagnavo il parroco nei villaggi ove si recava per celebrare messa; tutto ciò mi piaceva molto e, come si dice “tale padre, tale figlio”: a colpirmi è stata la sua capacità, in qualità di parroco, è stata quella di saper radunare attorno a sé i fedeli e di riuscire a coinvolgermi. Piano piano in me è maturato questo desiderio di percorrere la strada del sacerdozio. Comunicai questa decisione al parroco che mi seguiva il quale, un giorno – dopo la messa del mattino – chiamò mio padre e gli comunicò le mie intenzioni chiedendogli un parere; mio padre rispose alla domanda del parroco dicendo: “ha deciso lui, liberamente, ed io non posso impedirglielo”. Anche mio padre, da fanciullo, desiderava entrare in seminario ma non è stato fortunato come me in quanto suo padre – mio nonno – glielo ha impedito poiché sognava per suo figlio uno futuro diverso e voleva che intraprendesse gli studi, fiducioso nelle sue capacità. Mio padre, nel mio caso, non ha voluto che si ripetesse la sua storia e, quindi, mi ha lasciato libero di intraprendere la mia strada.
Sono, così, entrato in seminario e vi sono rimasto sino al liceo; il seminario, in quel periodo, è stato chiuso a causa della crisi dovuta all’avvento del multipartismo: a quel tempo, molti erano gli scioperi che venivano fatti e che hanno costretto noi studenti a rimanere a casa per ben sei mesi e, di conseguenza, l’anno scolastico fu dichiarato “bianco”. Dopo la chiusura del seminario, sono entrato in collegio, nella scuola dei frati canadesi dove ho studiato fino al 2001. Durante quest’anno mi sono trasferito ed ho proseguito gli studi dai frati del Sacro Cuore – sempre affianco ai religiosi – per poi, ritrasferirmi ed iniziare gli studi in seminario: nel 2002 ho frequentato l’anno propedeutico, molto intensivo, di preparazione: si tratta di un anno necessario, utile a mettere alla prova la vocazione e la spiritualità.
Terminato questo percorso ho fatto il mio ingresso nel Seminario Maggiore dove ho studiato, per la durata di tre anni, filosofia ed ho conseguito il certificato C.1. Dopo il conseguimento di questo titolo ho intrapreso il tirocinio canonico, di durata annuale, in una parrocchia: anche questa esperienza formativa si configura come una messa alla prova della propria vocazione; durante il tirocinio in parrocchia ho predicato nei villaggi, ho fatto la catechesi e, dopo questa esperienza, ho ripresentato la domanda per rientrare in seminario ed intraprendere gli studi in teologia che hanno avuto la durata complessiva di quattro anni: in Togo, per intraprendere questo percorso dopo la maturità, si impiegano ben nove anni, e sei mesi per diventare sacerdote. Gli anni sono tanti ma anche gli esami ufficiali sono difficili e si svolgono con cadenza annuale: se non si superano e, quindi, si viene bocciati si è costretti a perdere un intero anno.
Quali sono le ragioni che l’hanno portata a Cassano?
Le ragioni sono molteplici. Dopo essere stato ordinato sacerdote, ho trascorso due anni in parrocchia dove sono stato docente di francese nella nostra scuola secondaria e viceparroco; qui, il mio Vescovo del Togo mi ha chiamato a seguito della raccomandazione del Consiglio del seminario che – dopo aver osservato il mio operato durante l’anno propedeutico, quando ho esercitato la professione di infermiere – ha deciso di mandarmi a studiare infermieristica in Italia. La mia formazione, durante gli anni di seminario, la devo ad una persona che mi coinvolgeva e che mi ha insegnato tantissime cose, tra le quali, ad esempio, fare flebo, medicazioni, affiancare gli ammalati e tanto altro ancora. Per questa ragione, in seminario, mi hanno scelto come infermiere per dirigere, dapprima la farmacia e, successivamente, l’ambulatorio sino a diventare capo infermiere; durante il tempo trascorso in questa struttura ho cercato di migliorare la salute dei confratelli, anche attraverso le vaccinazioni: dapprima, ci recavamo a fare i vaccini nelle strutture ma, di lì a poco, ci siamo accorti che i vaccini erano scaduti o venivano conservati a temperature e con modalità sbagliate e, per questa ragione, abbiamo – di comune accordo con gli altri docenti – deciso di non recarci più in questa tipologia di strutture ma di andare – assieme ai confratelli che erano circa centosessanta persone – all’Istituto Pastore dove ordinavamo i vaccini e, poi, li somministravamo: abbiamo creato, nella casa, una commissione di igiene – formata da una equipe di sedici seminaristi – ed applicavamo, in modo rigoroso, i protocolli igenico-sanitari previsti per questo lavoro. Dopo aver richiesto un locale, che mi è stato concesso, sono riuscito a realizzare una sala adibita al ricovero: qui mi sono occupato anche della cura dei docenti, venivo coperto anche dai colleghi medici e, con loro, facevamo consultazione e prescrivevamo medicine. Ci siamo occupati, in equipe, anche della formazione permanente: essa consisteva nel fare ricerche su determinate patologie.
Durante i turni, ciascuno dei quali era coperto da quattro professionisti, io mi impegnavo anche nello studio che continuava sino all’orario successivo la cena; tutte le volte che passava il rettore mi osservava e, in una sua relazione al Consiglio, ha dichiarato che aveva notato la mia bravura nel prendermi cura di tutti, anche dei docenti – che si fidavano di me – e, per questo, hanno chiesto al mio Vescovo di mandarmi qui in Italia per studiare scienze infermieristiche, così come egli stesso mi ha confidato a seguito dei due anni trascorsi in parrocchia.
Lei svolge la professione di infermiere presso l’Ospedale ecclesiastico Miulli. Questa scelta professionale è legata al suo cammino nella fede?
Il mio Vescovo riteneva che, come infermiere, sarei stato una risorsa per il prossimo e, il 16 ottobre 2014 mi ha mandato qui in Italia per studiare infermieristica. Poiché i concorsi si fanno a settembre e quando sono arrivato non avevo un buon bagaglio di lingua italiana, ho dedicato un anno allo studio della lingua; in questo periodo sono stato accolto dai Silenziosi Operai della Croce, presenti a Roma in via Monte del Gallo e in un’altra casa situata a via dei Bresciani.
Tuttavia, non sono rimasto a Roma sin da subito: inizialmente ero a Moncrivello, arcidiocesi di Vercelli, dove vi è il seminario Trompone e dove vi è una Università di fisioterapia dove mi recavo come auditore libero; da autodidatta ho imparato l’italiano e, andando a Torino, ho acquistato il mio primo dizionario della lingua italiana, molto piccolo, ed imparavo a memoria le parole in quanto questa lingua mi piaceva. Dopo un mese ho iniziato a celebrare le messe e ad ascoltare le confessioni. Dopo questo anno, nel 2015, mi sono iscritto alla facoltà di teologia della pastorale sanitaria a Roma, dai camilliani, della Pontificia Università Lateranense.
Durante il mio primo anno a Roma, un giovedì sera, avevo pregato con fede il Signore Gesù chiedendo: “Signore, dammi una parrocchia dove posso andare per celebrare la Pasqua” e, proprio il giorno dopo, ho ricevuto la risposta alla mia preghiera, con l’arrivo, durante la mattinata del venerdì, di un sacerdote di Acquaviva delle Fonti giunto nella Capitale per studiare la pastorale sanitaria al fine di conseguire alcuni crediti. Quella mattina incontrai questo sacerdote che desiderava iscriversi all’Università e gli ho subito comunicato che ero il capoclasse del primo anno accademico e mi sono messo a sua disposizione fornendogli degli appunti e tutto l’aiuto di cui necessitava. Quando ho saputo che era della provincia di Bari gli ho parlato di mio cugino – che è in diocesi a Molfetta ed è stato viceparroco della Cattedrale San Sabino di Bari ed ho subito scoperto che entrambi sono legati da un rapporto di amicizia nato durante il percorso di studi che ha accomunato entrambi. Quella mattina, ricevetti la risposta alla richiesta fatta al Signore il giorno prima: il sacerdote mi ha invitato ad Acquaviva delle Fonti per la celebrazione Pasquale. Durante le vacanze di Pasqua ho fatto il biglietto e sono partito.
In quei giorni Don Francesco Gramegna era assente e, per questa ragione, il sacerdote di Acquaviva mi aveva mandato qui, a Cassano, a sostituirlo: questa è stata la risposta alla mia preghiera. Quando sono arrivato, la comunità era contenta delle mie prediche e, una sera, Don Francesco ci ha invitati a prendere una pizza e, durante la cena, il sacerdote ha riferito le intenzioni e le volontà del Vescovo che mi aveva mandato qui per studiare infermieristica; don Francesco mi ha da subito accolto, permettendomi di stare presso di lui per realizzare i miei progetti ed i miei sogni.
Dopo la discussione della Tesi avvenuta il 26 ottobre 2017, sono tornato a Cassano e, dopo aver fatto il concorso per l’ammissione ad infermieristica, sono stato trasferito come studente a Tricase, nella comunità delle suore Marcelline. Il Vescovo della Diocesi di Bari, Mons. Cacucci, mi aveva affidato a Mons. Vito Angiuli, Vescovo della Diocesi di Ugento, e sono stato accolto da Don Flavio Ferraro nella Parrocchia della Natività della Beata Vergine Maria (Tricase).
Il 25 novembre 2021 ho conseguito la mia laurea e, siccome la convenzione con la Diocesi di Bari non era ancora scaduta, sono tornato a Cassano delle Murge dove ho la mia residenza ed ho continuato a mettere a frutto quello che ho studiato e, quindi, ho chiesto all’Arcivescovo di Bari – Mons. Giuseppe Satriano – di fare questo, affidandomi a Mons. Ricchiuti di Acquaviva delle Fonti ed ha parlato anche con il direttore dell’Ospedale Miulli, Don Mimmo Laddaga, che mi ha accolto dandomi la possibilità di fare questa esperienza presso il pronto soccorso del centro ospedaliero nel quale esercito dal 2022 e nel quale vi rimarrò sino al prossimo 30 settembre.
Essendo viceparroco, Don Francesco mi ha affidato anche la pastorale degli ammalati e degli anziani: ogni giovedì, infatti, mi reco presso il centro San Martino dove celebro messa; il venerdì, invece, mi sposto a Santa Maria Assunta, a Borgo Fra Diavolo.
Durante il mio percorso ho accompagnato anche i gruppi, tra i quali vi è la famiglia del Sacro Cuore ed il gruppo del Centro Volontario della Sofferenza (quest’ultimo ha avuto origine dalla comunità dei Silenziosi Operai della Croce il cui fondatore è il Beato Luigi Novarese). In Parrocchia, ogni domenica accompagnavo – attraverso la celebrazione della Parola – i ragazzi della terza elementare che dovevano iniziare la catechesi; ciò era utile a prepararli, assieme ai loro genitori, al percorso che avrebbero intrapreso di lì a qualche settimana dopo. Qui in Parrocchia mi sono dedicato tantissimo all’ascolto delle persone in difficoltà, cercando – nel mio piccolo – di dar loro una mano.
Per quale ragione ha scelto il Pronto Soccorso?
Il pronto soccorso risponde alle mie aspirazioni poiché, qui, si incontrano pazienti di ogni genere. Il pronto soccorso è il cuore di tutto: è esattamente da lì che parte la cura per il paziente, ancor prima del ricovero. Esso è un vero e proprio compendium dell’ospedale.
Come proseguirà la sua vita quando lascerà Cassano delle Murge?
Io son venuto qui per studiare infermieristica così da poter tornare nella mia Diocesi, in Togo, a servire. Il mio Vescovo, deceduto da poco, mi aveva mandato proprio perché abbiamo un centro per gli ammalati, i bambini, gli ammalati mentali, le donne in gravidanza e per tutti coloro che ne necessitano. Nel villaggio di Yoro-Kpdji abbiamo in progetto di costruire un ospedale capace di accogliere tutte le persone in difficoltà: tra i progetti del Vescovo c’è quello che io vada a dirigere questo poliambulatorio che nascerà su questo terreno, grazie anche al contributo della Caritas diocesana. Questo territorio necessita di questa struttura sanitaria perché alcuni, tra coloro che abitano in questo villaggio, hanno la propensione alla violenza e, per questo motivo, il loro trasporto in un ospedale distante risulta essere difficoltoso. Una struttura permetterà di poter curare con più facilità coloro che ne avranno necessità. Molte sono – ad esempio – le donne in gravidanza che, per poter partorire in sicurezza, devono fare molti chilometri in moto per raggiungere la struttura sanitaria più vicina.
Come si è sentito accolto dalla comunità di Cassano delle Murge?
Cassano è la mia seconda casa. La comunità di Cassano è una comunità accogliente: molti sono gli immigrati di diversa provenienza, come nigeriani e senegalesi, presenti a Cassano delle Murge e la comunità si dimostra compatta ed accogliente. Vorrei che i cassanesi siano orgogliosi della loro città e i loro figli siano, mediante l’educazione ricevuta, rispettosi di questa città: dove vi è una buona educazione, vi è la pace e le cose vanno bene; la delinquenza, invece, distrugge il bene. Io mi sento di ringraziare molto questa comunità e le dirò sempre che la mia casa è aperta per chiunque voglia conoscere la nostra comunità di Togo; per Cassano sono diventato una persona di riferimento e se qualcuno avrebbe il desiderio di venire da me, basta che parli con il parroco. E’ necessario, di questi tempi, l’integrazione e l’incontro di culture. A Cassano verrò ogni anno.
Il mio ringraziamento va al Vescovo della Diocesi di Bari, Mons. Francesco Cacucci, che mi ha accolto, all’arcivescovo Giuseppe Satriano e alla diocesi; vorrei fare il mio ringraziamento a Don Francesco Gramegna che mi ha accolto come un fratello ed ai preti del vicariato. Vorrei ringraziare tutta la comunità che è stata accogliente e mi ha donato un sorriso; vorrei anche ringraziare le autorità, partendo dal Sindaco Davide Del Re, la Polizia Locale, il suo Comandante e tutte le strutture di Cassano. Attraverso voi de La Voce del Paese, saluto tutti ed auguro a ciascuno un buon cammino, ricordando che è importante camminare insieme, in unione, per poter realizzare delle cose buone. Un ringraziamento va alla comunità parrocchiale di Cassano, dal parroco Don Francesco a tutti coloro che collaborano in quest’ambito. Ringrazio la redazione del giornale La Voce del Paese per questa intervista e benedico tutto il paese di Cassano delle Murge per il quale pregherò.
Domenica 29 settembre don Callisto celebrerà la Messa delle 19.30 in Chiesa Madre e sarà l’occasione per tutti di salutarlo e accompagnarlo nella preghiera.