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Direttiva casa: primo sì del Parlamento europeo, mentre in Italia si discute ancora

 

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​La Voce del Paese 

Continua a far banco la polemica scoppiata nelle scorse settimane sulla cosiddetta “Direttiva europea per le case verdi”, il presunto provvedimento che secondo alcuni esponenti della maggioranza di governo introdurrebbe in Italia una nuova patrimoniale a danno delle famiglie [Il Fatto Quotidiano Online, 24 gennaio], con l’obiettivo di attaccare la nostra economia utilizzando la foglia di fico della transizione ecologica [Agi, 18 gennaio]. Soprattutto la Lega ha fatto dell’opposizione pregiudiziale al testo il suo cavallo di battaglia, presentando una mozione al Senato che impegni il governo a bloccare la proposta durante le negoziazioni. La Lega in Italia governa in coalizione con Fratelli d’Italia (che è il partito di maggioranza relativa) e Forza Italia. I partiti di destra italiani non sono però alleati in Europa: Giorgia Meloni è la presidente del Gruppo dei conservatori e riformisti (ne fanno parte anche il partito neofranchista spagnolo Vox e il partito di governo in Polonia Diritto e Giustizia), mentre la Lega ha aderito al Gruppo Identità e Democrazia (lo stesso di Marine Le Pen) e Forza Italia è storicamente legato al Partito Popolare europeo (la destra democratica europea).

Il caso riguarda la proposta di revisione delle regole sul rendimento energetico degli edifici, avanzata dalla Commissione europea per raggiungere gli obiettivi della neutralità climatica entro il 2050 e di case più confortevoli per i cittadini UE, tramite procedure semplificate per l’accesso al credito, un sistema comune di regole per i 27 Paesi dell’Ue e il riconoscimento di maggiore flessibilità agli stati membri sulla loro implementazione. In breve, la Commissione ha indicato degli obiettivi da raggiungere in termini di classi energetiche, per ridurre l’impatto dell’inquinamento delle abitazioni (responsabile del 40% del consumo di energia e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra prodotte, secondo i dati UE). La revisione si rivolgerebbe inizialmente al 15% degli edifici meno efficienti (classe G) di ogni Paese UE, a cui è richiesto il salto di due classi entro il 2033 (tappa intermedia il 2030). Più stringente invece il termine per gli edifici pubblici e non residenziali in classe G, che dovrebbero essere ristrutturati per rientrare in classe F entro il 2027 (e poi almeno nella E entro il 2030).

Lo scorso 9 febbraio, la proposta di revisione è stata approfondita, discussa e approvata dalla Commissione Industria ed Energia (ITRE) del Parlamento europeo, grazie al compromesso raggiunto tra i Gruppi dei Socialisti e Democratici (PD), del Partito Popolare europeo (sebbene FI abbia votato poi contro), di Renew (terzo polo) e dei Verdi.

Questa relazione sarà poi alla base della discussione di marzo della plenaria del Parlamento europeo, che dovrà definire la sua posizione in vista del negoziato che si aprirà con Commissione e Consiglio. Per l’Italia, siederà in Consiglio il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin (in quota FdI), che però un via libera sulla proposta l’ha già dato ad ottobre scorso. Si prospetta quindi un negoziato complesso, dal cui esito potrà dipendere la stabilità della maggioranza di governo.

Paolo Cantore

 

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