Le imprese familiari: obblighi e opportunità
L’impresa familiare non è, in senso proprio, una tipologia d’impresa “a sé stante” come la ditta individuale e/o la società, parliamo d’impresa familiare nel caso in cui il titolare si avvalga della collaborazione del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo. Ai familiari collaboratori è riconosciuta una quota degli utili dell’impresa in cambio della collaborazione prestata.
Per costituire un’impresa familiare non sono necessarie particolari formalità, anche se queste risultano opportune per dimostrarne l’esistenza. La normativa fiscale, difatti, richiede, ai fini probatori, che l’impresa familiare sia realizzata mediante la stipula di un atto costitutivo scritto, che può consistere in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata. La sussistenza dell’impresa familiare, comunque, si verifica quando questa è costituita dal titolare con la partecipazione di almeno un familiare e risulta da una manifestazione di volontà o da fatti concludenti, quindi, l’impresa familiare può dunque nascere anche per il semplice esercizio continuativo di un’attività economica da parte del titolare e di uno o più familiari.
Per la collaborazione prestata, i familiari hanno diritto: alla partecipazione agli utili; al mantenimento (indipendentemente dall’esistenza di utili e dalla convivenza col titolare); alla prelazione in caso di divisione ereditaria o trasferimento; alla tutela assicurativa e previdenziale.
La logica solidaristica tra parenti, pur presente, non può giustificare l’esclusione dal sistema previdenziale e assicurativo quando la collaborazione si configura come abituale e continuativa. In tali casi, infatti, l’attività del familiare è a tutti gli effetti lavoro produttivo che genera valore per l’impresa e che espone il lavoratore ai rischi tipici dell’attività economica.
Ne consegue che la prestazione resa dal familiare fa sorgere obblighi di iscrizione all’INPS e all’INAIL, in base alle norme vigenti e alla consolidata prassi amministrativa.
La gestione ordinaria dell’impresa spetta al titolare, mentre le decisioni relative a straordinaria amministrazione devono essere adottate con la maggioranza dei familiari che collaborano. La norma individua come familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Con la Legge 20 maggio 2016, n. 76, anche i partner uniti civilmente sono stati equiparati al coniuge, mentre i conviventi di fatto godono di una disciplina separata (art. 230-ter c.c.).
Elemento essenziale per l’applicazione della norma è la continuità della collaborazione. Non è sufficiente un aiuto sporadico, ma occorre che l’apporto del familiare sia stabile, regolare e inserito nel ciclo produttivo dell’impresa.
Nella maggior parte dei casi, la collaborazione prestata in un contesto familiare è resa in virtù di un’obbligazione “morale”, basata sul legame solidaristico ed affettivo proprio del contesto familiare, che si articola nel vincolo coniugale, di parentela e di affinità e non prevede la corresponsione di un compenso. La circostanza che il lavoro sia reso da un familiare contribuisce a determinare in molti casi la natura occasionale della prestazione.
Una prima figura che il Ministero del Lavoro riconduce nell’ambito delle collaborazioni occasionali, e quindi esclusa dall’obbligo di versare i contributi all’INPS, sono le prestazioni rese da pensionati che non possono garantire al familiare titolare dell’impresa un impegno continuo. Il Ministero ritiene che l’impegno del pensionato possa essere solo occasionale nasce da vari motivi, tra cui la scarsa volontà di impegnarsi in un’attività nuova, la scelta di dedicarsi ad altri progetti o a curare più da vicino il contesto familiare.
La medesima conclusione in caso di prestazioni rese dal familiare impiegato a tempo pieno presso altro datore di lavoro, considerato il residuale e limitato tempo a disposizione per espletare altre attività o compiti con carattere di continuità e prevalenza presso il familiare.
Quando, però, l’apporto del familiare risulta di carattere abituale e continuativo, la legge impone di superare l’apparenza della gratuità e di riconoscere il valore economico del lavoro svolto, rendendo la distinzione tra collaborazione occasionale e collaborazione continuativa uno degli aspetti più delicati sul tema.
Il Ministero del Lavoro, con Nota n. 10478 del 10 giugno 2013, come detto, ha chiarito che le prestazioni dei collaboratori familiari possono essere considerate occasionali quando si verificano determinate condizioni. Successivamente, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con Circolare n. 50 del 15 marzo 2018, ha fornito ulteriori criteri operativi, facendo riferimento all’articolo 21, comma 6-ter del D.L. n. 269/2003 (conv. da Legge n. 326/2003) e all’articolo 74 del D.Lgs. n. 276/2003.
Dalla lettura delle disposizioni normative, la prestazione si considera occasionale laddove:
- venga resa da un parente entro il terzo grado, aventi anche il titolo di studente;
- venga resa per un periodo complessivo nel corso dell’anno non superiore a 90 giorni;
- abbia carattere di aiuto, a titolo di obbligazione morale e senza corresponsione di compensi;
- sia prestata nel caso di temporanea impossibilità dell’imprenditore artigiano all’espletamento dell’attività lavorativa.
Per il settore del commercio, ai sensi dell’articolo 29, Legge n. 160/1975, come modificato dalla Legge n. 662/1996, l’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, sussiste solo per i titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero di dipendenti, siano organizzati o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, o i familiari, coadiutori preposti ai punti di vendita, che partecipano personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.
Per quanto riguarda gli obblighi assicurativi nei confronti dell’INAIL, questi sussistono in tutte le ipotesi nelle quali la prestazione viene resa in modo ricorrente e non meramente accidentale. Il Ministero del Lavoro, volendo fornire, anche in questo caso, un parametro di carattere oggettivo, ritiene possibile, come chiarito dalla Circolare n. 37/0014184/2013, in via orientativa e d’intesa con l’INAlL, considerare come accidentale la prestazione che viene resa 1 o 2 volte nell’arco del medesimo mese a condizione che nel corso dell’anno le prestazioni complessivamente effettuate non siano superiori a 10 giornate lavorative.
Il collaboratore familiare che presta attività continuativa, così come descritta finora, deve essere, quindi, iscritto all’INPS e all’INAIL, anche nel caso in cui lo stesso non percepisca un compenso. La ratio di tale previsione risiede nella necessità di garantire una tutela previdenziale e assicurativa a coloro che, pur lavorando senza retribuzione, contribuiscono in maniera essenziale all’attività economica e corrono rischi identici a quelli degli altri lavoratori.
Il mancato rispetto di tali obblighi comporta la perdita di diritti previdenziali per il collaboratore e la responsabilità per il titolare dell’impresa che dovrà anche versare le relative sanzioni.
In conclusione la figura del collaboratore familiare riveste un ruolo centrale nella realtà produttiva italiana, ma non può essere relegata a un’area di mera gratuità. La distinzione operata dall’ordinamento è chiara; le prestazioni occasionali, entro limiti temporali precisi, possono rimanere gratuite e non comportano obblighi contributivi, mentre quelle abituali e continuative fanno sorgere l’obbligo di iscrizione all’INPS e all’INAIL.
Per gli imprenditori questo significa dover valutare attentamente la natura dell’apporto familiare, al fine di evitare eventuali omissioni contributive e sanzioni. Per i collaboratori, allo stesso tempo, significa accedere a tutele fondamentali sul piano previdenziale e assicurativo.
Dott. Massimo Arganese
Studio Arganese & Partners